
di Giancarlo Pavat

L’interesse suscitato da diversi articoli pubblicati nelle ultime settimane sul nostro sito, aventi come argomento principale l’analisi simbolica di elementi architettonici ed artistici medievali presenti in chiese, basiliche e cattedrali del nostro Paese, ci spinge a proseguire su questa strada. Anche perché, aldilà della particolare spiegazione di una determinata opera d’arte, ciò che interessa maggiormente è invitare le persone a guardarsi attorno e ad osservare la realtà che ci circonda (non soltanto quella artistica, storica e architettonica) cercando di andare oltre le apparenze e i messaggi più immediati che sembrano veicolare. Insomma ad andare oltre l’aspetto essoterico per scoprire quello esoterico.
Questa volta tocca al Duomo di Salerno, l’antica città prima longobarda e poi normanna.

Il titolo corretto del Duomo salernitano è “Cattedrale primaziale metropolitana di Santa Maria degli Angeli, San Matteo e San Gregorio VII” e ha la dignità di “Basilica minore”. Sorto nel XI secolo su una chiesa paleocristiana dedicata a santa Maria degli Angeli (a sua volta costruita sui resti di un tempio pagano di epoca romana), fu voluto dal normanno Roberto il Guiscardo (1015-1085) dopo la conquista della città (nel 1076, dopo un assedio durato circa sette mesi) e la fine dell’ultimo stato longobardo indipendente. L’altro fondatore del Duomo fu il vescovo Alfano, che, nonostante fosse di stirpe longobarda, si schierò con il Normanno. Il presule salernitano era un monaco benedettino (rimase sempre molto legato all’abbazia di Montecassino, tanto da ispirarvisi per le forme architettoniche del Duomo), ma fu pure poeta, teologo e medico della Scuola Salernitana, in pratica un Uomo di cultura a tutto tondo.
Il Duomo è un capolavoro dello stile romanico, anche se vi sono influssi bizantini e arabo-normanni. Nel XVII secolo ha subito dei rifacimenti in stile barocco, di cui (dopo i lavori del XX secolo che l’hanno riportato alla originaria impronta romanica) sopravvivono gli interni delle navate e la facciata del quadriportico.
Ciò che ci interessa in questa sede lo troviamo proprio nella navata centrale. Infatti nella parte terminale, il coro ligneo è delimitato da due “amboni”.
Spesso mi è stato chiesto se i termini “Pergamo”, “Ambone” e “Pulpito” siano sinonimi oppure che cosa indichino effettivamente e quali siano le differenze. Ebbene, secondo l’Enciclopedia Treccani, l’”Ambone” (dal greco ambon che indica una superficie convessa e panciuta) è “nella basilica cristiana, (è la NDA) tribuna rialzata di alcuni gradini destinata ai canti o alla lettura dei testi sacri, oppure alla predicazione del vescovo. Talora se ne trovano due, per la lettura dell’Epistola e dell’Evangelium, disposti simmetricamente ai lati del presbiterio, davanti all’altare, e collegati alla schola cantorum”. Generalmente quello deputato alla lettura del Vangelo aveva dimensioni maggiori. “Ambone” e “Pergamo” (dal greco pergamon, “luogo elevato”) sono sinonimi.

Entrambi venivano utilizzati per la lettura delle Sacre Scritture. Nei riti greco-ortodossi viene chiamato “ambone” l’ampio gradino antistante l’iconostasi, da cui il diacono canta i brani dei Vangeli anche se non è presente un vero e proprio leggio.
Il “Pulpito”, invece, si è sviluppato dall’”ambone” verso la fine del Medio Evo e agli inizi del Rinascimento. Ma veniva usato solamente dal predicatore.
Anche il “Minbar”. dell’architettura islamica deriva dall’ambone”.

Nella navata del Duomo di Salerno sulla sinistra si ammira l’ambone (datato al 1180) detto “Guarna” dal nome dell’arcivescovo Romualdo Guarna (1163-1180). La donazione da parte del presule è documentata dall’iscrizione leggibile lungo il parapetto. Da sottolineare l’elevata valenza artistica delle decorazioni tra cui i simboli dei Quattro Evangelisti. L’”Ambone Guarna” presenta una pianta quadrangolare e poggia su quattro colonne decorate da elementi fito-antropomorfi. Al di sopra degli archi due bassorilievi raffigurano l’Angelo che regge il Vangelo attributo iconografico di San Matteo e l’Aquila Giovannea.

Sulla destra, invece, troneggia il cosiddetto “Ambone D’Aiello” (o “Ambone maggiore”) in quanto si ritiene che sia stato donato dall’arcivescovo Niccolò D’Aiello, anche se l’attribuzione non è accettata da tutti gli storici dell’arte. Pure la datazione non trova consenso unanime, anche se, per motivi stilistici, si tende a vedere una certa contemporaneità di realizzazione tra i due amboni. Su molti libri di Storia dell’Arte è possibile leggere la data del 1195 come quella di completamento del manufatto.
Ma diatribe a parte, concentriamoci, ora, proprio sull’”Ambone maggiore” e su una decorazione che lo rende davvero straordinario. Tenendo però, sempre bene a mente che le interpretazioni una determinata raffigurazione artistica o opera architettonica possono essere diverse, a volte addirittura discordanti. Soltanto conoscendo la temperie culturale, spirituale e sapienziale che ha generato queste opere, è possibile individuare il corretto messaggio che veicolano. E anche in questo caso, non è detto che il committente o l’artefice si siano limitati ad un unico “messaggio” e non abbiano voluto celarne altri; alcuni comunque espliciti, palesi, altri ben dissimulati e nascosti.
Ovviamente tutto ciò non ha nulla a che fare con al Fede, che rimane un fattore personale di ognuno di noi.

L’”Ambone maggiore” poggia su 12 colonne a fusto liscio con capitelli con decorazioni fito- zoomorfe. I lettorini presentano due gruppi scultorei; il primo raffigura due giovani su due leoni (di cui ci occuperà in altra occasione), mentre il secondo, sotto il leggio, immortala una scena decisamente drammatica e a tinte forti. Vediamo, infatti, un uomo aggredito e morso da un serpente sul petto e artigliato in testa da un’aquila. Sotto i piedi dell’uomo si notano due animali. È proprio questa decorazione che cattura l’attenzione e la curiosità di chi lo ammira per la prima volta.

Nel caso di opere d’arte, elementi architettonici o comunque iconografie “verticali”, per una corretta analisi simbolica, la lettura deve sempre cominciare dal basso. È il caso, appunto, della decorazione a bassorilievo dell’”Ambone maggiore” del Duomo salernitano.
I due animali scolpiti sotto i piedi della figura umana aggredita da serpente e aquila, sono un orso intento ad azzannare un vitello o bue. L’orso è un animale selvaggio dei boschi, delle foreste, delle montagne. Rappresenta la natura NON domata, non addomesticata dall’Uomo. È la Forza cieca della Natura (uragani, tempeste, nevicate, valanghe, alluvioni) che aggredisce e distrugge l’opera dell’Uomo, rappresentata dal vitello (o bue). Ovvero dagli animali mansueti e domestici per antonomasia.

Quindi la parte bassa della decorazione ci parla del mondo ferino. È il Mondo della Natura primigenia dei foschi boschi, delle profonde foreste, dei monti inviolati e oscure caverne, in cui si potevano celare non soltanto fiere ma pure creature demoniache. Ma è pure il mondo degli istinti belluini dell’Uomo stesso, ancora allo stato primordiale. Insomma un Mondo a cui l’Uomo medievale (e non solo medievale) faceva di tutto per stare alla larga. Quindi la scultura con l’orso e il vitello-toro costituisce un exemplum (nel caso dell’ambone è il primo), che ci insegna in modo allegorico come fuori dal consorzio civile, dalla città, dal villaggio, dal mondo in cui l’Uomo è riuscito (o almeno crede di avercela fatta) a piegare la natura aggiogandola ai propri voleri, NON c’è altro che pericolo, paura e morte. In pratica l’Inferno.
Ma nonostante questo primo ammonimento, l’Uomo, nella sua arroganza a disattendere alle Leggi divine, commette Peccato. Ed ecco che nell’ambito della morale della Chiesa di Roma, l’ambone ci presenta un Uomo-peccatore mostrandoci la fine che l’attende. La punizione è quella di essere tormentato dal serpente e straziato dagli artigli del rapace.
E qui riecheggiano certamente i miti classici. Infatti, il Serpente che morde il “Peccatore” dell’ambone ricorda la tragica fine del sacerdote troiano Laoconte. Colui che al momento del rinvenimento del celebre “cavallo” sulla spiaggia antistante Ilio, subodorando un inganno, cercò in tutti i modi di convincere i propri compatrioti a dar fuoco al simulacro. Ma, a quel punto, Athena, la dea protettrice di Ulisse (ideatore dell’inganno, che si trovava all’interno della pancia del “cavallo” assieme ai suoi guerrieri) suscitò dalle profondità marina tre giganteschi serpenti che si avventarono su Laoconte e i suoi due figlioletti.
Per farsi un’idea della potenza tragica dell’episodio, si vada a vedere (chi non avesse ancora avuto occasione di farlo) o rivedere, il celeberrimo “Laoconte”, capolavoro della statuaria ellenistica, nel Museo Pio-Clementino dei Musei Vaticani.

Laoconte viene ucciso dai mostri non soltanto perché la “dea con l’Egida” voleva proteggere Ulisse, ma (soprattutto) perché, cercando di salvare Troia, va contro la volontà degli dei e del Fato, che, invece, ne avevano decretato la fine. Quindi Laoconte commette un atto di blasfemia, a maggior ragione perché è un sacerdote. Compie un atto di arrogante rivolta contro il volere gli dei. È quindi un eretico, un peccatore che va punito senza pietà.
Eretico e peccatore come Prometeo, il titano figlio di Gipaeto e Oceanina, colui che rubò il Fuoco agli dei per donarlo all’Umanità ancora allo stato bestiale. Ovviamente il Fuoco è simbolo di Conoscenza. Ma per la Chiesa di Roma, la Conoscenza non mediata (e censurata) dal proprio magistero, non è altro che di Superbia e Ribellione prima di tutto al Potere Ecclesiastico. Un’eresia, quindi, da colpire e punire proprio come fece Zeus che inviò un’aquila (in alcune versioni del Mito si tratta di un avvoltoio, ma non cambia la sostanza del racconto allegorico) a tormentare Prometeo incatenato alla montagna del Caucaso, strappandogli le viscere con becco ed artigli.


Non per nulla, nei secoli successivi Prometeo è diventato nella Cultura Occidentale, il simbolo della sacrosanta ribellione contro l’oppressione da parte dell’Ordine Costituito e della lotta per una Cultura e un Sapere liberi dai dogmi religiosi, ideologici e politici.
Quindi, in sintesi, la decorazione del leggio dell’ambone è un exemplum che ci ammonisce come fuori dalla Chiesa di Roma ci sia soltanto la Morte. Sia quella fisica che quella spirituale. E il peccatore, quindi, il ribelle alla Chiesa, viene coerentemente punito allo stesso modo degli antichi ribelli ed eretici; ovvero Laoconte e Prometeo.
Questa è la lettura allegorica della decorazione scultorea. Quasi una Biblia pauperum, insegnamento e ammonimento per i fedeli.

Ci sono però pure altre chiavi di lettura. Alcune di queste sono di natura essenzialmente esoterica.

Secondo il grande storico, mitografo e antropologo rumeno Mircea Eliade (1907-1986) l’Aquila (unico uccello che poteva volare vicino al sole senza bruciarsi, messaggero degli dei e animale totemico di diversi popoli e culture) simboleggia la Luce Trascendente, la Luce Manifesta. La Luce di Dio che indica la Via maestra.
Al contrario, il Serpente, simboleggia i mondi ctoni, sotterranei, le tenebre, la Luce NON manifesta. Il dualismo tra i due animali simbolici, rappresenta in ambito cristiano (e quindi poteva essere fatto proprio dal committente, chiunque fosse) l’eterno conflitto tra il bene e il male, tra la Luce e l’Oscurità, tra l’Aquila di Dio e il Serpente del Demonio. Contesa di questa lotta è la salvezza dell’anima dell’Uomo.
Quindi la raffigurazione salernitana può essere letta allo stesso modo di quelle scene immortalate in capitelli, lunette e altri bassorilievi romanici in cui vediamo gli angeli, intenti alla psicostasia contro diavoli che cercano di strappare loro l’anima del defunto.



Le punte del compasso sono sotto la squadra. Quindi si tratta di un apprendista. I° livello. La simbologia è particolare. I due animali (grifone, sulla sinistra, e leone, sulla destra) in araldica si chiamano “sostegni” dello scudo. Ma entrambi sono raffigurazioni allegoriche di Cristo. Quindi Cristo (duale) che regge uno scudo con i simboli del grado di iniziazione massonica. Poi sull’altro angolo del Palazzo, ecco l’aquila che lotta contro il Serpente. Anche qui simbolo Cristico o comunque dell’Illuminato, del Magister, contro quello che potrebbe anche NON essere il simbolo del Male ma della Conoscenza. Si potrebbe leggerlo così: l’ascesa verso i piani o gradi più alti della Conoscenza (esoterica) NON può avvenire se non tramite la mediazione del Magister, che istruisce, educa, aiuta, l’Iniziato. Tra l’altro, l’altorilievo con grifone e leone è volto grossomodo a oriente (ex orientis lux), mentre quello con Aquila e Serpente guarda a occidente.
La “Psicostasia”, ovvero la “pesatura delle anime”, è un tema iconografico che non trova alcun riferimento nelle Sacre Scritture Vetero o Neotestamentarie. Bensì nella tradizione religiosa dell’Antico Egitto.
Nei dipinti parietali dei monumenti sorti sulle rive del Nilo, e nei papiri si vedono spesso alcune divinità, soprattutto Horus o Anubis, intente, appunto, a pesare il cuore del faraone, o, in epoca più tarda, dei defunti in genere. Di fatto gli angeli (o San Michele stesso) intenti nella Psicostasia sono una interpretazione cristianizzata di quei culti antichissimi, giunti in Occidente probabilmente mediati attraverso le culture persiana e araba. Ma una giustificazione dottrinale a questa inconsueta iconografia è possibile trovarla nel fatto che si ritiene San Michele presente al momento del Giudizio Finale, a conoscenza dei pensieri di Dio e, quindi, come “psicopompo”, incaricato di condurre le anime dei salvati verso la “Gerusalemme Celeste”. Come sembra adombrato da una delle “Lettere” di San Paolo; la “I^ ai Tessalonicesi”. “il Signore stesso, al segnale dato dalla voce dell’Arcangelo, dalla tromba di Dio, scenderà dal cielo e i morti che sono in Cristo risorgeranno per primi” (4, 16).

La “Psicostasia”, ovvero la “pesatura delle anime”, è un tema iconografico che non trova alcun riferimento nelle Sacre Scritture Vetero o Neotestamentarie. Bensì nella tradizione religiosa dell’Antico Egitto.
Nei dipinti parietali dei monumenti sorti sulle rive del Nilo, e nei papiri si vedono spesso alcune divinità, soprattutto Horus o Anubis, intente, appunto, a pesare il cuore del faraone, o, in epoca più tarda, dei defunti in genere. Di fatto gli angeli (o San Michele stesso) intenti nella Psicostasia sono una interpretazione cristianizzata di quei culti antichissimi, giunti in Occidente probabilmente mediati attraverso le culture persiana e araba. Ma una giustificazione dottrinale a questa inconsueta iconografia è possibile trovarla nel fatto che si ritiene San Michele presente al momento del Giudizio Finale, a conoscenza dei pensieri di Dio e, quindi, come “psicopompo”, incaricato di condurre le anime dei salvati verso la “Gerusalemme Celeste”. Come sembra adombrato da una delle “Lettere” di San Paolo; la “I^ ai Tessalonicesi”. “il Signore stesso, al segnale dato dalla voce dell’Arcangelo, dalla tromba di Dio, scenderà dal cielo e i morti che sono in Cristo risorgeranno per primi” (4, 16).
Quindi l’Aquila è l’angelo o Arcangelo di Dio (non a caso nell’iconografia cristiana gli angeli hanno ali d’aquila e il rapace stesso ha funzioni di “psicopompo”) intento a strappare l’Uomo al Demonio e a salvarlo portandolo al Cielo.
Una interpretazione che comunque aveva funzioni didattiche nei confronti dei fedeli che affollavano il Duomo di Salerno.
Ma non è finita. È possibile suggerire ulteriori “lettura” e questa volta totalmente esoteriche.
La prima è una interpretazione molto simile a quella proposta in merito al blasone esoterico della famiglia Cecconi da me identificato nel 2016 a Sonnino sui Monti Ausoni in provincia di Latina oppure per il gruppo scultoreo bronzeo che decora la facciata della “Casa delle Bisse” di via San Lazzaro 15 a Trieste (che il lettore curioso potrà tranquillamente leggere su questo sito).


Si è già accennato al fatto che l’Aquila è un animale totemico sacro a Zeus/Giove ma pure ad altre antiche divinità. Come la dea norrena Freja, che poteva mutarsi proprio in aquila e in questo modo volare da un mondo all’altro, attraverso varchi con tutta probabilità rappresentati da labirinti circolari


Quindi l’Aquila costituisce un tramite tra i vari piani esistenziali. Tra i mondi materiali e quelli spirituali.
Quanto al Serpente, si è già visto negli articoli sopra citati come non sempre va visto come una personificazione del Male. Può essere pure inteso allegoricamente come sinonimo di “Conoscenza Suprema”. Una Conoscenza che solo Dio può concedere agli uomini.
Quindi la decorazione dell’”Ambone maggiore” del Duomo di Salerno può esotericamente essere letta nel seguente modo. Il Serpente non sta mordendo l’Uomo ma gli sta instillando la Conoscenza. Una “Conoscenza Segreta”, esoterica, destinata solo agli iniziati, ai quali consentirà di elevare lo spirito dal mondo materiale (rappresentato dal bue e dall’orso) verso altri e più elevati piani esistenziali. Verso i Cieli, verso il Trascendente, ma mediante l’aiuto e l’insegnamento del magister. Ovvero l’Aquila. Anzi l’Uomo stesso, proprio come Freja, può diventare un Aquila ovvero, acquisita la Conoscenza, può diventare a sua volta un magister, un Sapiente volto alla Verità Suprema che è quella che sovrasta lo stesso rapace. Quella rappresentata dal Libro che veniva posto sul leggio dell’Ambone. Ma, forse, interpretato in modo diverso da quello predicato dalla Chiesa di Roma.
“I farisei e gli scribi hanno ricevuto le chiavi della conoscenza, ma essi le hanno nascoste: non hanno saputo entrare essi stessi, né hanno lasciato entrare quelli che lo desideravano. Ma voi siate astuti come i serpenti e puri come le colombe”. (Vangelo di Tommaso)

Rimanendo sempre in tema di trasmissione di una Conoscenza esoterica, il gruppo scultoreo dell’”Ambone maggiore” potrebbe anche essere letto in chiave gnostica.
Com’è noto per “gnosticismo” si intende un movimento filosofico e religioso strettamente esoterico e iniziatico. Deriva dal termine greco gnósis, ovvero “Conoscenza”. Anche se alcuni studiosi ritengono che lo Gnosticismo esistesse ben prima dell’avvento del Cristianesimo, è in quest’ambito che si è sviluppato con la massima diffusione tra il II e il IV secolo d.C.. Considerato una eresia dalla Chiesa di Roma, venne da questa duramente avversato e perseguitato. In particolar modo dopo l’Editto di Tolleranza di Milano del febbraio del 313 d.C. e, soprattutto, dopo quello di Tessalonica del 27 febbraio 380, con cui il Cristianesimo venne proclamato “Religione di Stato”.
Sono esistite diverse correnti dello Gnosticismo, che prendono il nome dalle località che ospitavano le varie “scuole”. Ad esempio corrente “siriana” oppure quella “ellenistico-alessandrina”. O da particolarità peculiari e principali delle correnti stesse. Come nel caso del Dualismo di Marcione di Sinope che vedeva, nel Dio crudele e vendicativo dell’Antico Testamento, il “Demiurgo” (che rappresenta il mondo della materia) e lo riteneva malvagio (dikaios in greco) e in quello del Nuovo Testamento, il “Dio Primo” totalmente buono (agathos in greco). Ma tutte avevano come elemento fondamentale la concezione che soltanto mediante una Conoscenza superiore e illuminata, colui che riusciva a risvegliare la scintilla di divino che celava al proprio interno, poteva salvarsi.
Infatti, secondo gli Gnostici il mondo materiale in cui viviamo è stato creato dal “Demiurgo” ed è fondamentalmente negativo senza speranza. Non è possibile salvare il Mondo, né i suoi abitanti. La stessa Umanità non è affatto buona come vorrebbero farci credere. Anzi.
È però possibile, rendendosi conto di tutto ciò, acquisendo la consapevolezza di ciò, salvare le singole anime. La parte migliore degli uomini. Ma non di tutti gli uomini ma solo di coloro che celano una scintilla di divino.
E questa scintilla ci aiuta a trovarla il Cristo-Logos e la sua sposa, la Sophia, ovvero lo Spirito santo. Due “Eoni” generati dall’”Uno”, il “Dio Primo”, proprio per salvare l’Uomo dal Demiurgo e per liberarlo dall’abbraccio mortale della Materia. Il Cristo-Logos prese poi forma umana con Gesù, incarnatosi proprio per insegnare all’Umanità la Via della Conoscenza (la gnósis, appunto), che permetterà il ritorno al “Pleroma”, ovvero al tutt’uno con il “Dio Primo”.
Tra i celebri (e per alcuni, famigerati) “Rotoli del Mar Morto”, vi è quello denominato “4Q285” (detto anche “Documento di Damasco”), da cui apprendiamo che gli Esseni (ovvero i membri della setta ebraica che aveva realizzato quei testi sacri, poi nascosti nelle grotte nell’area di Qumran e rinvenuti casualmente da un pastorello beduino nel 1947) erano soliti indicare il “Salvatore del Mondo” o “Principe Messianico”, con il termine di “nhsh” cioè “nasi” ossia il “Serpente”. In aramaico, l’antica lingua parlata anche da Gesù in Palestina, “serpente” era detto appunto “nahash”. In un documento rinvenuto nel secolo scorso e noto come il “Documento del Cairo”, con il nome “nasi ha-‘edah” vengono identificati i successori di Re David (CD V,1 -VII) e sempre in questo documento il “nasi” viene definito come “La Stella” e Gesù ci riferisce di essere “la radice della stirpe di Davide, ossia la stella radiosa del mattino” (ossia Venere). Sappiamo che Gesù era chiamato “Jeshua nahashira”, ovvero “Il Nazareno”. Ma il termine potrebbe essere inteso non come proveniente da Nazareth (che al tempo di Cristo non esisteva nemmeno, infatti la località nacque nel Medio Evo), bensì come “Il Saggio” o “Risplendente”. Legato quindi al significato simbolico del “Serpente”.
Quindi, se vogliamo interpretare la decorazione dell”Ambone maggiore” dal punto di vista gnostico, ecco che il Serpente non è una raffigurazione del male ma il Cristo-Logos che sta donando la Consocenza esoterica all’Uomo apparentemente mordendo proprio il petto in cui è rinchiusa la “Scintilla Divina”. Ecco che l’Uomo, finalmente conscio della Verità Rivelata dalla Conoscenza, si affida all’Aquila con le ali spiegate che sta per spiccare il volo, per innalzarsi verso all’altezze e mondi inconcepibili per il Non iniziato, per l’Uomo qualunque legato indissolubilmente al mondo materiale.
(Giancarlo Pavat)
Sì ringraziano tutti coloro che hanno messo a disposizione proprie immagini per questo articolo.
“Quando voi dovrete mostrare quello che possedete dentro di voi, ciò che avete vi salverà; ma se non lo possedete dentro di voi, ciò che non avete, vi perderà”. (Vangelo di Tommaso).

Fonte: Il Punto sul Mistero.it