IL MISTERO DELL’ULTIMA DIMORA DI MANFREDI RE DI SICILIA I^ parte

di Roberto Volterri e Giancarlo Pavat
I^ parte.

REPORTAGE DAL MISTERO….
MA CHI È SEPOLTO IN QUELLA TOMBA?
IL MISTERO DELLA “ULTIMA DIMORA” DI MANFREDI, RE DI SICILIA
I^ parte
biondo era e bello e di gentile aspetto
ma l’un de’ cigli un colpo avea diviso
Poi sorridendo disse: ‘Io son Manfredi,
il nipote di Costanza imperatrice

La Storia ci ha, infatti, tramandato ogni sorta di informazioni sull’intensa vita sentimentale dello Stupor mundi, del Puer Apuliae, insomma di Federico II Hohenstaufen della Casa di Svevia (Iesi 26 dicembre 1194 – Castelfiorentino 13 dicembre 1250), e così nulla ci sfugge riguardo alle tre sue legittime mogli, dalle quali ebbe tre figli maschi e due femmine, né ci dimentichiamo certamente delle sue non poche avventure extraconiugali dalle quali nacquero sei figli maschi e sei femmine. Almeno così pare…

“Io son colui che tenni ambo le chiavi/ del cor di Federigo, e che le volsi,/ serrando e diserrando, sì soavi/ che dal secreto suo quasi ogn’uom tolsi;” (vv. 58-61, Canto XIII, Inferno) – foto G- Pavat 2009.

Tra le amanti dalle quali ebbe figli maschi ci fu la bellissima nobildonna piemontese, Bianca Lancia, appunto madre del Manfredi. Le affascinanti antiche cronache rintracciate nei polverosi volumi tra i quali spesso ci avventuriamo, narrano dunque che Bianca Lancia – virgo pulcherrima – nasce verso il 1210, conosce lo “Stupor Mundi” forse attorno al 1225. Secondo la “Cronica” del frate minore Salimbene de Adam, poi ripreso da altri cronachisti come il benedettino inglese Matthew Paris o Matteo Paris, l’Imperatore l’avrebbe sposata in articulo mortis nel 1246 o nel 1247 (Mon. Germ. Hist., Scriptores XXVIII) nel Castello di Gioia del Colle, in provincia di Bari. Uno degli innumerevoli possedimenti ai quali l’Hohenstaufen fece mettere mano in terra d’Apulia. Compreso il notissimo Castel del Monte, presso il quale egli, forse, mai si recò.


Sulle nozze ”riparatrici” la storiografia ufficiale avanza innumerevoli riserve, mentre non ne può certamente avanzare riguardo alla nascita, nel 1232, di Manfredi.
Né può negare che la relazione con Federico di Hohenstaufen sia durata a lungo, con la nascita pochi anni più tardi della figlia Costanza. Nel 1241 Bianca Lancia ottenne da Federico l’investitura di molti feudi.
Oggi, nel magnifico Castello di Gioia del Colle esiste ancora una torre denominata dell’Imperatrice e in una cella sotterranea sono ben visibili, scolpiti nella pietra, due… seni, a perpetuo ricordo del suo amore per l’enigmatico Puer Apuliae, al quale, almeno così vuole la macabra leggenda, ella avrebbe inviato parte delle sue “grazie”, su un vassoio d’argento, insieme al frutto della loro relazione.
E ciò soltanto perché Federico II di Svevia l’aveva, forse ingiustamente, sospettata di tradimento e l’aveva fatta rinchiudere in una segreta del castello?
Oppure perché rea confessa di aver avuto da altri il… figlio della colpa? Gossip di altri tempi. Non va scordato (e questo non aggiunge di certo veridicità alla leggenda) che analoga storia viene raccontata a proposito del Castello di Monte Sant’Angelo.

“L’antico castello, sito su Monte Sant’Angelo, conserva ancora oggi memoria di un travagliato passato. […] Si narra che nell’antico maniero, nelle gelide sere invernali, si possa scorgere la triste ed evanescente figura di Bianca Lancia, probabilmente l’unica donna realmente amata da Federico II. […] Le leggende non sempre raccontano una verità ufficiale o ufficializzata da documenti storici ed altre fonti attendibili, questa che sto per raccontarvi non fa eccezione. Secondo quest’ultima, Bianca Lancia fu tenuta prigioniera nell’antichissimo maniero contro la sua volontà, questa condizione convinse la donna a salire sul torrione principale, il “Maschio”, e gettarsi di sotto, togliendosi la vita, in un ultimo atto di liberazione e dolore. […] Alcuni affermano che la donna morì non gettandosi dalla torre ma prigioniera nella torre. Da pettegolezzi vari che mai riconducono a fonte certa, si evince che il fantasma apparirebbe spesso in abito bianco-grigiastro, accompagnato da lamenti, urla e pianti strazianti, in ricordo dell’immenso dolore provocato dalla crudele e forzata prigionia. Si dice che per gelosia. Federico II era talmente geloso di Bianca lancia da farla letteralmente rinchiudere in un castello, divenuto poi vera e propria prigione per la sfortunata donna”.
(da “Mario Contino “Puglia. Misteri e leggende” Artebaria edizioni 2014).
E allora, perché non esplorare ancora quei luoghi alla ricerca, forse, di quasi introvabili tracce di quei lontanissimi episodi?

Ora che ci sono chiari i “natali” di Manfredi, proseguiamo nella ricerca del suo sepolcro…
Manfredi studiò a Bologna e a Parigi, ereditando dal padre l’amore per le scienze e per la poesia. Nel 1248 sposò Beatrice di Savoia, vedova del marchese di Saluzzo, e da lei ebbe la figlia Costanza. Lo Stupor mundi, Federico II, morendo nel dicembre del 1250, a Castelfiorentino in Puglia, lasciò a Manfredi il Principato di Taranto insieme ad altri feudi di minore importanza e gli affidò la reggenza del Regno di Sicilia, almeno fino all’arrivo del figlio ed erede legittimo di Federico, Corrado (Quarto come Sacro Romano Imperatore, anche se non venne mai incoronato dal romano pontefice).

Qui, il 13 dicembre 1250, morì Federico II. Giovanni Villani nella sua celebre (ma tutt’altro che imparziale, visto che il compilatore fiorentino erano un guelfo e quindi avverso agli Svevi) “Nova Cronica”, vuol farci credere che lo Stupor Mundi sia stato ucciso (soffocato con un cuscino) addirittura dal figlio Manfredi. Nessuno dei suoi contemporanei come Dante Alighieri ( e nemmeno i medievisti moderni) hanno dato mai credito a questa che non è altro che una diceria.
Manfredi dovete superare situazioni molto difficili per le continue ribellioni scoppiate nei territori da lui governati e alimentate anche da papa Innocenzo IV, l’acerrimo nemico degli Svevi. Egli però reagì energicamente anche con l’aiuto dello zio Galvano Lancia, tentando forse di farsi investire, ufficialmente, dal Papa stesso. Ma invano.

Finalmente, nel 1251, Corrado calò in Italia passando per il Brennero. Raggiunta Latisana in Friuli, si imbarcò con tutto l’esercito sulla flotta siciliana inviata dal fratellastro Manfredi. Le navi attraversarono il Golfo di Trieste, raggiunsero Punta Salvore e cominciarono a discendere l’Adriatico costeggiando prima le coste istriane e poi dalmate. All’altezza di Spalato, attraversarono il mare e sbarcarono a Siponto sul Gargano nel 1252. Corrado riconquistò Napoli l’anno successivo ma mise in secondo piano Manfredi. Il 21 maggio 1254 Corrado morì lasciando in Germania il figlio Corradino, ancora fanciullo.


Si mormorò che Manfredi avesse “contribuito”, con il veleno, ma, come nel caso dell’”augusto decesso” a Castel Fiorentino, pare proprio che tale ipotesi sia del tutto priva di qualsiasi fondamento.
Sebbene non sia questa la sede per rievocare ed analizzare le complesse vicende che videro Manfredi protagonista di guerre, scomuniche papali e tutto ciò che in quei tempi caratterizzava i rapporti tra potere temporale e potere spirituale, alcuni cenni sarà pur necessario farli. Anche alla luce delle conseguenze che quelle lontane vicende ebbero per la Storia futura del nostro paese.
Manfredi aveva ereditato dal padre anche l’abilità diplomatica. Decise di prendere tempo e sebbene scomunicato dal pontefice (luglio del 1254), riuscì a raggiungere un accordo in cui si riconosceva vassallo del Papato. Sciolto dalla scomunica venne nominato principe di Taranto e vicario della Chiesa per il Regno di Sicilia (27 settembre 1254). Però, nonostante l’accordo, il Pontefice iniziò ad occupare manu militari l’Italia meridionale. Manfredi sapeva di non potersi fidare di Innocenzo IV, ma accettò di sottomettersi pubblicamente. L’11 ottobre 1254, a Ceprano (località, oggi in provincia di Frosinone che, come vedremo, ritornerà protagonista delle nostre ricerche sull’ultima dimora del Re svevo), presso il Ponte sul fiume Verde (attuale Liri), Manfredi si incontrerà con il terribile avversario. Reggerà le briglie della cavalcatura del Pontefice e presterà giuramento di fedeltà. Una umiliazione subita obtorto collo ma che Manfredi farà scontare al rancoroso Vicario di Cristo.

Meno di due mesi dopo, nonostante fosse circondato dai numerosi nemici che papa Innocenzo IV, divorato dal proprio personale odio contro la Casa di Svevia, continuava a suscitargli contro, Manfredi riuscì a cogliere una significativa vittoria presso la città pugliese di Foggia. Era il 2 dicembre 1254.
Le esigue ma fedelissime forze di Manfredi erano formate da Ghibellini dell’Italia Centrale, lealisti siciliani, Saraceni di Lucera ed alcuni mercenari Svevi, mentre le ben più numerose forze di Innocenzo IV, che avevano invaso ed ormai occupato quasi tutto il Regno, erano composte da mercenari Pontifici guidati dal cardinale Guglielmo Fieschi, nipote del Papa, e dai mercenari tedeschi del rinnegato Berthold von Hohenburg.

Ferentino (che era il capoluogo della Provincia di Marittima e Campagna del Patrimonium Sancti Petri) “ospitò davvero l’Imperatore e Re di Sicilia, nel 1223, quando si incontrò con il Pontefice Onorio III, furente per la mancata partenza dello Svevo per la “Crociata”. A Ferentino, a fianco di Federico II c’era pure il Gran Maestro, “Hochmeister”, dei Cavalieri Teutonici Hermann von Salza. Abile ed autorevole diplomatico, fedelissimo di Federico II ma rispettato ed ascoltato anche dal Papa. Fu lui ad evitare una definitiva rottura tra Impero e Papato, che comunque avverrà nel decennio successivo. Proprio in Santa Maria Maggiore, Federico II rinnovò il giuramento di “prendere la Croce” entro il luglio del 1225, altrimenti sarebbe stato scomunicato. Sappiamo che le cose andarono poi diversamente” (da G. Pavat “Nel Segno di Valcento” – edizioni Belvedere 2010).
Costui, già fedelissimo di Federico II e cognato di Bianca Lancia, madre di Manfredi, aveva tradito quest’ultimo, sottraendo anche il tesoro reale di cui era custode ed era passato dalla parte del Papa.
Manfredi, sotto le mura di Foggia, annientò gli avversari costringendo i due capi nemici a salvarsi con la fuga. Saranno proprio loro a portare la notizia della disfatta ad Innocenzo IV che si trovava a Napoli dove aveva fissato la sua Corte. Il Papa, alla notizia della vittoria di Manfredi, morirà di crepacuore il 7 dicembre.
La vittoria permise a Manfredi di liberare tutta la Puglia e di riorganizzarsi per procedere alla riconquista di tutto il resto del Regno di Sicilia. Vale la pena di ricordare che il “Regno di Sicilia” comprendeva, oltre all’isola mediterranea, anche tutta l’Italia Meridionale sino all’Abruzzo ed al fiume Liri nel Lazio.
Manfredi, forte del titolo di “Vicario imperiale” concessogli dalla Germania dal nipote Corradino, inflisse colpi mortali all’esercito pontificio. Nel 1257 persino Roma divenne ghibellina, retta dal bolognese Brancaleone degli Andalò e il nuovo papa Alessandro IV (l’anagnino Rinaldo dei conti di Segni, pontefice dal 1254 al 1261) dovette fuggire a Viterbo.
Il 10 agosto dell’Anno del Signore 1258, Manfredi coronava letteralmente il suo sogno. Infatti, nel Duomo di Palermo, il vescovo Rinaldo di Agrigento lo incoronava “Rex Siciliae”.

Negli anni che seguirono, Manfredi estese a tutta Italia il suo dominio, espandendolo anche in Oriente, sulle terre che la sua seconda moglie Elena, figlia del despota di Epiro, gli aveva portate in dote.
Da ricordare un’altra vittoria militare di Manfredi anche se non lo vide protagonista in prima fila. Una battaglia nota ancora oggi soprattutto per la celebre citazione dantesca. Quella di Montaperti in Toscana.
La Battaglia o “rotta” di Montaperti (oggi frazione di Castelnuovo Berardenga in provincia di Siena), presso il fiume Arbia, si svolse il 4 settembre 1260. I Ghibellini Toscani (soprattutto senesi e pisani), assieme a contingenti Imperiali e Siciliani (circa 2000 fanti e 800 cavalieri) inviati da Manfredi, sbaragliarono le truppe Guelfe filopapali (soprattutto fiorentini e milizie della Lega Lombarda), dando così al Re di Sicilia di assoluto controllo sul Regno e sulla Penisola.
Dante ricorda la Battaglia nel X Canto dell’Inferno (v. 85);
“Lo strazio e l’grande scempio che fece/
L’Arbia colorata di rosso”

(Fine I^ parte)
(Roberto Volterri e Giancarlo Pavat)
- Se non altrimenti specificato, le immagini sono state fornite dal prof. Roberto Volterri.

Fonte: Il Punto sul Mistero.it