
di Giancarlo Pavat

….uno dei soldati con un colpo di lancia gli trafisse il fianco e ne uscì sangue ed acqua (Gv 19, 31-34).

NEL MAUSOLEO….
Dal transetto di destra (o transetto sud) si esce in una sorta cortiletto interno formatosi a cagione dell’innalzamento del piano stradale della piazza sovrastante il Mausoleo.
Il monumento si presenta palesemente ispirato al tempietto sovrastante il Santo Sepolcro di Gerusalemme ed è diviso in due parti.
Quella superiore è caratterizzata da un tamburo ottagonale sormontato da una cupola semisferica. È accertato che un tempo era coronato da una piramide con in cima una Pigna a somiglianza dei monumenti funerari degli antichi Romani. A quanto pare venne sostituita durante i controversi lavori di restauro del 1904
Quella inferiore è invece di forma quadrangolare, con una piccola abside semicircolare a destra. L’intero Mausoleo è rivestito di lastre di marmo con muri ad arcatelle romaniche cieche e lesene. Lungo il margine superiore del tamburo ottagonale si dipana un’epigrafe in versi:
Magnanimus Sirie iacet hoc sub tegmine princeps,
quo nullus melior nascetur in orbe deinceps.
Grecia victa quater, pars maxima Partia mundi
ingenium et vires sensere diu Buamundi.
Hic acie in dena vicit virtutis abena
agmina millena, quod et urbs sapit Anthiocena.
Traducibile in “Sotto questa copertura giace il magnanimo principe della Siria, migliore del quale non nascerà più alcuno al mondo. La Grecia vinta quattro volte, la Partia, grandissima parte del mondo, ebbero a lungo prova dell’ingegno e delle forze di Boemondo. Costui in dieci battaglie sottomise alle redini della sua virtù schiere di migliaia di uomini: cosa che sa anche la città di Antiochia”. (da “Il Mausoleo di Boemondo, Canosa” in wwwbisanzioit.blogspot.com;)
Per accedere all’interno del Mausoleo mi avvicino alla bellissima Porta bronzea a due imposte, realizzata alla fine dell’XI secolo da Ruggero da Melfi.
La conoscevo attraverso i miei libri di storia dell’arte, ma trovarsela davanti è decisamente un’emozione. Sono rarissimi i manufatti antichi in bronzo giunti intatti sino a noi. Tra l’altro proprio la Puglia è la regione italiana che vanta il maggior numero di porte bronzee medievali originali, tutte di epoca romanica. Come quella del Santuario di San Michele Arcangelo, oppure del Duomo di Trani, o, ancora, della Cattedrale di Troia e, infine, questa del Mausoleo di Boemondo.
È stato ipotizzato che le due ante bronzee siano materiali di reimpiego. L’apparato iconografico della Porta bronzea fonde stilemi bizantini con elementi orientalizzanti. Per risolvere il problema della evidente diversità di stili simbolici e decorativi tra le due ante della Porta, Ruggero da Melfi ha genialmente e semplicemente realizzato una sorta di cornice vegetale identica per entrambe.
L’anta di sinistra, fusa in un blocco unico, presenta tre identici rosoni nel cui centro sono state applicate una protome leonina, e degli esemplari “Fiore della Vita” (che ho citato nel mio libro “Nel Segno di Valcento”, edizioni Belvedere 2010), il tutto entro una fascia decorativa di evidente ispirazione iconografica islamica. Sopra c’era un rilievo della Vergine con il Bambino di cui oggi è sopravvissuta soltanto l’iscrizione; Maria Mater Dei e, a ds, Ihs Filius Mariae. Sempre sopra l’anta di sinistra è incisa l’iscrizione che ci ha tramandato il nome dell’artefice; ROGERIUS MELFIE CAMPANARUM.

Nell’anta di destra, che invece venne ricavata dalla fusione di quattro parti distinte, si notano una formella in cui Boemondo è stato raffigurato insieme al fratellastro Ruggero Borsa. Furono acerrimi avversari ma qui sono rappresentati rappacificati davanti all’immagine di Cristo. In un’altra formella si vedono, invece, i due cugini Boemondo II (figlio di Boemondo e Costanza di Francia) e Guglielmo II (figlio di Ruggero Borsa e Adele di Fiandra, Duca di Puglia e Calabria) tenuti per mano in un gesto di unione di intenti dallo zio Tancredi. Anche in questo caso il messaggio politico e simbolico trascende la realtà storica.


Entro nel mausoleo accolto dal silenzio di cui solo i luoghi dell’eterno riposo si possono ammantare. Ma non vi è alcuna atmosfera macabra, di morte o disfacimento. È come se un frammento di Storia si sia pietrificato istantaneamente e sia giunto sino a noi.
Sebbene l’interno di presenti spoglio a causa dei saccheggi e restauri (unici elementi decorativi sono le due grandi colonne di sostegno), le suggestioni sono decisamente profonde. Si percepisce ancora l’atmosfera delle avventure guerresche nel Mediterraneo orientale di Boemondo. Che è ancora là ma non sotto la lastra incassata nel pavimento che reca semplicemente il suo nome “BOAMUNDUS” ma ovunque, dentro e fuori il Mausoleo. E si comprende perché siano sorte alcune affascinanti leggende.

L’ARMATA CROCIATA FANTASMA
Infatti il Mausoleo di Boemondo è legato, secondo alcuni studiosi, anche alle vicende relative alla cosiddetta “Lancia di Longino”. O, meglio, ad uno degli esemplari che nel corso del Tempo sono stai ritenuti l’arma originale usata dal Centurione romano sul Golgota per trafiggere il costato di Cristo sulla Croce.
L’esemplare in questione è la cosiddetta “Sacra Lancia di Antiochia” scoperta durante il “Pellegrinaggio armato” del 1095-1099, che vide tra i protagonisti proprio Boemondo.
Il 3 giugno 1098, dopo un lungo assedio, le armate cristiane occidentali erano riuscite ad espugnare la città di Antiochia, grazie ad uno stratagemma escogitato proprio da Boemondo (non è chiaro in che cosa consistesse questo stratagemma, ma si disse che in realtà avesse corrotto un rinnegato cristiano che stava di sentinella su una torre).

Ma il sopraggiungere di ingenti rinforzi mussulmani, aveva trasformato gli assedianti in assediati. I “crociati”, chiusi dentro le mura di Antiochia, erano allo stremo e la disfatta sembrava ormai prossima, quando un predicatore al seguito dell’armata, tale Pietro Bartolomeo fece uno straordinario annuncio. Raccontò di aver avuto in sogno la visione dell’apostolo Andrea che gli aveva riferito che la Lancia con cui era stato trafitto il costato di Cristo si trovava nascosta proprio ad Antiochia. Durante la visione, il Santo gli aveva indicato persino il luogo e il punto esatti in cui era celata. Ovvero, sotto il pavimento della navata della Cattedrale cittadina dedicata a San Pietro. Tutti i capi crociati, guidati da Pietro Bartolomeo, si recarono nella cattedrale. Il predicatore prese a scavare nel punto indicatogli (secondo lui) da Sant’Andrea ed ecco che, come per miracolo, apparve la punta di una vecchia lancia. E al miracolo si gridò davvero tra i capi della spedizione ed i soldati, tanto che reliquia venne portata in processione per le vie della città.
Solo uno dei protagonisti della spedizione rimase molto scettico. Si trattava di Ademaro vescovo di Le-Puy (1045-1098), rappresentante del pontefice Urbano II e quindi la più alta autorità religiosa e morale.
Ademaro si disse convinto che la punta di lancia fosse stata messa là dallo stesso Pietro Bartolomeo, ma tacque e non sbugiardò il predicatore perché si era reso conto che la scoperta aveva rialzato il morale dell’esercito occidentale.
Infatti, Boemondo adunò le truppe e, Sacra Lancia in testa, uscì da Antiochia, attaccando le truppe islamiche del condottiero Kerbogha. Incredibilmente il Normanno pugliese riuscì a conseguire una clamorosa vittoria, sbaragliando l’esercito musulmano ben più numeroso.
Anche in questo caso si parlò di miracolo o di un evento prodigioso. Dopo la vittoria, diversi combattenti riferirono di aver visto irrompere nel momento cruciale dello scontro, una schiera di cavalieri avvolti in bianchi mantelli. Si riferì che erano stati determinanti per la vittoria, in quanto con la loro carica avevano travolto i mussulmani. Il problema era che nessuno fu in grado di dire da dove venissero, dove fossero andati dopo la battaglia e, soprattutto, chi fossero.
Si disse che erano angeli o le anime di santi guerrieri
Forze non di questo Mondo erano accorse in aiuto di Boemondo e della sua armata Cristiana.
Sappiamo che racconti di interventi di guerrieri soprannaturali non sono nuovi nella storia degli umani conflitti. Durante la Prima Guerra Mondiale divennero famosi (o famigerati) i cosiddetti “Angeli di Mons” in Belgio. I quali, avrebbero coperto la ritirata delle truppe inglesi, colpendo con letali frecce invisibili i soldati tedeschi. Si sarebbe trattato dei fantasmi degli arcieri inglesi caduti eroicamente nella battaglia di Azincourt, combattuta e vinta contro i Francesi il 25 ottobre del 1415, durante la cosiddetta “Guerra dei Cent’anni”. In realtà la diceria nacque ispirandosi ad un racconto intitolato “The Bowmen” (“Gli arcieri”, appunto) dello scrittore gallese Arthur Machen (il cui vero nome era Arthur Llewellyn Jones, 1863-1947) pubblicato il 2 settembre 1914, sul giornale britannico “Evening News”.
Ma se vogliamo andare indietro nei Secoli, vale la pena di ricordare la battaglia del lago Regillo nel 496 a.C., in cui i Dioscuri, Castore e Polluce, avrebbero combattuto e vinto a fianco dei Romani.


“L’imperatore Costantino vinse la battaglia di Ponte Milvio nel 312 d.C., contro l’usurpatore Massenzio perché avrebbe visto in cielo (o sognato la notte, a seconda delle versioni) la Croce di Cristo con la celebre frase “In hoc Signo vinces”. Secondo recenti ricerche, sembrerebbe che la croce osservata nel cielo notturno prima della battaglia, non sarebbe una visione mistica o un sogno lucido, bensì la costellazione del Cigno (che effettivamente ha la forma di una croce) ben visibile nel cielo della località di Malborghetto, alle porte di Roma, dove era accampato l’esercito di Costantino, nella notte tra il 27 ed il 28 ottobre dell’anno 312. Durante il Medio Evo, in Spagna, il patrono nazionale San Giacomo, Santiago, sarebbe stato visto diverse volte, a cominciare dalla battaglia di Clavijo del 23 maggio del 844 d.C., cavalcare armato di tutto punto al fianco delle armate iberiche cristiane impegnate contro gli Islamici. Tanto che sarà per questo chiamato anche Santiago Matamoros, appunto “Uccisore di Mori”” (da G. Severino e G. Pavat “Il Raggio della Morte”, X-publishing 2013).
I nostri Normanni non potevano essere di meno. Si racconta che nel 1063, durante la battaglia di Cerami in Sicilia, vinta dal normanno Ruggero, addirittura San Michele Arcangelo, risplendente di luce, aveva galoppato innanzi ai Cristiani per guidarli alla vittoria contro gli Arabi. Episodio ancora oggi ricordato nei tradizionali festeggiamenti che si tengono il penultimo sabato di maggio, nella cittadina di Cerami.
Quindi un episodio simile non poteva mancare in una spedizione come quella del 95-99, ammantata da misticismo, fanatismo religioso e aneliti escatologici.
Recentemente, c’è chi ha ritenuto storicamente reale l’episodio davanti alle mura di Antiochia, affermando che i misteriosi guerrieri vestiti di bianco non erano spettri o creature angeliche, ma Cavalieri Templari. Pertanto sarebbe la prova che il celebre Ordine esisteva già da molto tempo o comunque da prima della conquista di Gerusalemme e il successivo arrivo in Terrasanta di Hugo de Paynes. Effettivamente, l’anno 1118, come data della fondazione ufficiale dell’Ordine dei “Pauperes Commilitiones Christi Templique Salomonici“, non è accettata da tutti gli storici. Ma da qui ad arrivare ad immaginare una preesistenza decennale o, addirittura, secolare, ce ne corre.

Tornando a quel giorno ad Antiochia, che quei cavalieri siano stati davvero angeli, spettri o una visione dovuta alla disperazione, oppure che sia una panzana inventata di sana pianta, rimane il fatto che gli Occidentali vinsero e Boemondo venne proclamato Principe di Antiochia.

LA LANCIA DI LONGINO È NASCOSTA A CANOSA DI PUGLIA?
E la Sacra Lancia rinvenuta da Pietro Bartolomeo? Dopo la battaglia venne deposta sull’altare della Cattedrale di San Pietro ma fu l’ultima volta che venne nominata nelle cronache coeve. Nessuno ne seppe più nulla. Aldilà se fosse autentica o meno, che fine aveva fatto?
Di certo non si tratta della “Lancia di Antiochia” attualmente conservata in Armenia, né quella che si trovava a Costantinopoli e che oggi sarebbe custodita in Vaticano, né tantomeno la “Heilige Lance” dell’Hoffburg di Vienna.
- Immagine sopra: La Sacra Lancia di Echmiadzin in Armenia – disegno G Pavat 2019. Stando ai racconti agiografici quella di Echmiadzin sarebbe l’autentica Lancia usata da Longino sul Golgota e sarebbe stata portata in Armenia (la prima nazione cristiana della Storia) addirittura da uno dei 12 Apostoli; Giuda Taddeo (da non confondere con il traditore Giuda Iscariota). Costui l’aveva trovata ad Antiochia e la depose nel monastero da lui stesso fondato di Geghard (Armenia), che prese il nome, non a caso, di “Monastero della Sacra Lancia”. Oggi questa reliquia, a lungo conservata nella Cattedrale di Echmiadzin, è esposta nel “Museo della Cattedrale”. Ma l’analisi filologica dell’oggetto (in particolare il fatto che la punta sia artisticamente traforata ed abbia una perfetta forma romboidale) ha permesso agli studiosi di stabilire che non si tratta di una lancia romana bensì della punta decorativa dell’asta di uno stendardo di epoca bizantina.
Diversi studiosi hanno pensato che Boemondo possa averla portata con se quando, dopo il 1104, lasciò la Terrasanta per ritornare in Occidente alla ricerca di rinforzi. Boemondo andò prima a Roma da papa Pasquale II, poi in Francia, dove nel 1106, sposò Costanza figlia del re Filippo I. Poi, reclutato un forte esercito attaccò in Grecia i Bizantini ma venne sconfitto. Ritornò allora nella sua Puglia, dove, come già accennato, morì a Bari, il 3 marzo 1111.
Aveva sempre tenuto con se la preziosa reliquia? È forse la Lancia che si dice sia custodita nella Basilica di San Nicola? Oppure, come ipotizzato da alcuni ricercatori, sarebbe stata sepolta assieme allo stesso Boemondo?
Relativamente a quest’ultima ipotesi (si tratta di una mera ipotesi, sia chiaro) l’indizio sarebbe costituito da un bassorilievo presente tra le decorazioni esterne del Mausoleo che sembra raffigurare proprio la punta di una lancia.

Purtroppo, come già accennato, il principesco sacello è stato spogliato nel corso del Tempo. Quindi se anche se anche vi fosse stato davvero nascosto qualcosa, è assai verosimile che sia scomparso per sempre.

La Porta bronzea del Mausoleo si richiude alle mie spalle. Rientro in cattedrale e pensieroso ripercorro la navata per uscire nella piazza canosina immersa nella luce del pomeriggio che volge al termine. Mi porto sul fianco destro dell’edificio e lancio un’ultima occhiata alla straordinaria tomba del principe crociato e al suo stile architettonico che ancora oggi evoca suggestioni e avventure nelle lontane terre di Outremer.
(Giancarlo Pavat)
- Giancarlo Pavat ha visitato Canosa di Puglia e i suoi monumenti e in particolare il Mausoleo di Boemondo di Taranto il 17 luglio 2017. Le foto sono state scattate dall’autore in quell’occasione. Si ringrazia il personale addetto della Cattedrale per la cortesia mostrata nel consentire la visita al Mausoleo e di scattare fotografie.

Fonte: Il Punto sul Mistero.it